"...cominciò a decifrare l'istante che stava vivendo,
e lo decifrava a mano amano che lo viveva,
profetizzando se stesso nell'atto di decifrare l'ultima pagina delle pergamene,
come se si stesse vedendo in uno specchio parlante."
(da Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez)
Salvador Dalì, La persistenza della memoria |
Il libro diventa quindi anche una riflessione sulla Storia stessa e i suoi corsi e ricorsi, e il modo di leggerla o ri-leggerla.
Inoltre lo stesso stile della narrazione è coerentemente una nuova riflessione (anche come rispecchiamento) di una originale concezione del tempo derivante dalla Teoria della Relatività di Einstein.
Marquez immaginò nel corso di una vacanza con la sua famiglia, l'incipit del suo romanzo, spesso citato, e ne fu folgorato lui per primo:
"Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio."
Da qui l'autore iniziò per diciotto mesi a seguire il filo di una narrazione che si manifesta come una linea continua, da cui ci si fa trascinare facilmente come se si fosse in uno scivolo, ma che presto si curva, si annoda, si aggomitola, oppure apparentemente si ramifica per tornare sempre al suo troncone originario.
L'incipit fa riferimento da subito ad un episodio cronologicamente centrale della storia (il plotone d'esecuzione) nel corso del quale viene evocato un suggestivo quanto enigmatico ricordo d'infanzia (la scoperta del ghiaccio), solo a seguito dei quali si parla della fondazione di Macondo, ossia il vero inizio della storia: fabula e intreccio resteranno per tutto il testo sempre sfalsati, suscitando nel lettore il bisogno fisico della narrazione, come ne ha bisogno un bambino che ascolta con accesa curiosità un racconto fantastico di una nonna.
L'inizio, la struttura del romanzo, il vincolo su cui tutto si regge sono la famiglia Buendìa e lo spazio di Macondo, il villaggio da essa fondato: quando si estingue l'ultimo dei Buendìa anche il villaggio viene spazzato via e il romanzo si conclude.
La cosa più interessante dal punto di vista stilistico è proprio il proliferare delle storie dei tanti personaggi, e delle suggestioni anche molto sensuali che stanno dietro aggettivi o incisi o particolari di poche parole, che però aprono interi mondi sul piano dell'ordine temporale. Mondi che magari verranno sviscerati successivamente oppure resteranno in nuce a stimolare la fantasia del lettore.
Sono molto interessanti i continui salti in avanti o indietro della narrazione, i continui "come quella volta che...", finali svelati di piccole storie narrate poi o narrate prima, perché l'importante non è la storia o come va a finire, ma come la si racconta, restituendo o meno tutte le sfumature e le evocazioni che nascono dalla sua complessità, e così vale anche per la Storia, quella collettiva, su cui bisogna stare più attenti, non farsi raccontare solo il finale dai poteri forti, ma conoscerne anche i particolari (come per esempio per lo sciopero di lavoratori nel romanzo) e ogni tanto ri-leggerla alla luce anche di eventi successivi.
Infatti l'autore sembra volerci dire che nonostante tutto il movimento che vediamo, tutto gira a vuoto, in tondo, è prevedivile, come prevedibili sono i comportamenti curiosamente ossessivi di molti personaggi. Tutto è lì fermo a Macondo, e per noi è come guardare dei pesci straordinariamente colorati agitarsi all'interno di un acquario.
Il messaggio è simile a quello del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, pubblicato circa 10 anni prima.
Nel Gattopardo si dice che tutto deve cambiare perché nulla cambi, (sovvertendo il panta rei eracliteo) ed è un messaggio anche molto politico, legato in particolare ai rivolgimenti politici e sociali dell'epoca risorgimentale.
In Cent'anni di solitudine lo stesso messaggio assume una sfumatura più esistenziale poiché coinvolge svariati personaggi, i quali vengono esaminati come marionette in mano a forze più grandi di loro; la politica, pure molto presente con riferimenti espliciti, pare meno incombente; ma anche qui di fondo si dice che solo apparentemente, solo per un tempo breve in termini assoluti, o solo in modo non sostanziale si vedono cambiare le cose del mondo e i violenti rapporti di forza che le determinano.
E' certamente notevole fare una riflessione così disincantata sulla Storia alle soglie del '68.
Il cosiddetto realismo magico dello stile di Márquez, ossia il riferire con tale puntualità di particolari avvenimenti assurdi fino al punto da crederli possibili, fa venire in mente visioni surrealiste coeve, per esempio alcune tele di Dalì; su tutte occorre citare La persistenza della memoria, molto precedente (del 1931), ma anch'essa una riflessione artistica sul tempo, scaturita dalla Teoria della Relatività di Einstein.
La figura tanto sfuggente quanto fondamentale di Melquìades, uno zingaro, è simbolica dell'importanza del viaggio per perseguire la conoscenza, la salvezza di sé e della comunità.
Macondo, nato dalla fuga di alcuni dalla comunità umana, quindi da un episodio traumatico, è piuttosto chiuso o sprovveduto nei confronti di tutto quello che arriva dall'esterno (zingari, religione, potere politico, guerra, poteri economici, sconvolgimenti metereologici), e tutto il nuovo che arriva da fuori ha sempre impatti devastanti sulla comunità, la quale, non essendovi abituata, ogni volta, in qualche modo, vi soccombe.
Per questo il personaggio più interessante è indubbiamente quello del colonnello Aureliano Buendìa, quello che apre il romanzo, quello che più di tutti vede il mondo esterno attraverso le guerre che conduce, pur ricadendo come tutti gli altri in una forma di ossessione (i pesciolini d'oro) da coltivare in solitudine nel villaggio, ma forse, a differenza degli altri, è l'unico a farlo per disillusione consapevole, poiché ha capito che per la sua comunità non c'è speranza di reale progresso, emancipazione, sviluppo.
Se inizia apparentemente come una linea, il romanzo, che si conclude con l'avverarsi di una profezia, segue in realtà, usando un altro paragone geometrico, la linea di una circonferenza, e l'avverarsi della profezia di Melquìades chiuderebbe un cerchio.
Il messaggio di fondo sembra essere che la Storia (con la lettera maiuscola) gira a vuoto, gira su se stessa, è profetizzabile poiché è prevedibile.
L'albero genealogico dei Buendìa nei suoi incesti più o meno consapevoli, si intreccia come gli assi temporali della narrazione, generando un discendente ultimo con la coda di maiale.
Quindi la storia di Macondo, metafora della Storia degli uomini, non è infine né una linea né una parabola nel tempo rappresentato da Márquez, piuttosto è un cerchio, o semmai una spirale, una spirale come quella della coda di maiale che portano gli eredi di rapporti umani degenerati.
Gustav Klimt, L'albero della vita |
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