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"Fai attenzione: il cane Bendicò è un personaggio importantissimo ed è quasi la chiave del romanzo"
(G. Tomasi di Lampedusa, lettera del 30 maggio 1957 al barone Enrico Merlo di Tagliavia)
Ho letto questa frase nell'introduzione al romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e mi ha subito molto colpito, per cui ho deciso di seguire (come un segugio?) proprio l'alano Bendicò per tutto il romanzo.
La trama del romanzo mi era globalmente nota, poiché ne avevo già letto varie parti, oltre a vedere il meraviglioso film di Visconti (che pure taglia i capitoli finali...), ma in quelle parole ho trovato una chiave nuova di lettura fornita dall'autore stesso.
(Quella sensibilità del Principe per piccoli dettagli che diventano pieni di significati, come spiega padre Pirrone, alla fine ci contagia e non abbiamo più bisogno di elaborate spiegazioni.)
Il cane fa effettivamente da contrappunto continuo all'evolversi delle vicende e rappresenta la vitalità del casato, per cui, quando ritroviamo l'animale trasformato in tappeto nella camera di una discendente zitella dei Salina, Concetta, evidentemente quel casato non esiste più, anche se "gli occhi del tappeto" ancora terrorizzano i servi.
Quella frase rende in realtà il romanzo, fatto apparentemente di "personaggi-persone", tutta una rappresentazione simbolica, in cui ogni gesto dei personaggi-persone è molto di più di quello che appare in concreto, una rappresentazione infine riconducibile proprio ai simboli animaleschi del titolo e del cane: nel finale il volo del cane per un attimo sembra il gattopardo rampante, come esso bidimensionale, poiché del cane resta solo la pelle, la superficie esterna, usata già come tappeto.
"Pochi minuti dopo quel che rimaneva di Bendicò venne buttato in un angolo del cortile che l’immondezzaio visitava ogni giorno: durante il volo giù dalla finestra la sua forma si ricompose un istante: si sarebbe potuto vedere danzare nell’aria un quadrupede dai lunghi baffi, l’anteriore destro alzato sembrava imprecare."
La metafora della parabola della casata non è nell'animale araldico "rampante", bensì nel precipitare nell'immondizia della pelle dell'animale reale, l'alano Bendicò appunto; anch'esso diventa "bidimensionale" e simbolo della rovina della famiglia o del suo goffo ricrearsi attraverso il matrimonio di Angelica e Tancredi, ma sotto forma di tappeto, ossia al costo di farsi calpestare e gettare infine nei rifiuti.
Mentre per la sensibilità avara dei Sedàra non si butta via niente pur di conseguire un'ascesa sociale (neppure un cane che si può sempre trasformare in tappeto), nel gesto di gettare quel cane-tappeto invece c'è ancora un po' dell'indole sanguigna, stizzosa, e della nobiltà spendacciona dei Salina, con tutti i significati che tuttavia quel disfarsene comporta.
E quel simbolo bidimensionale non rappresenta più l'eternità di un simbolo araldico, bensì qualcosa che è morto, come è la pelle del cane.
Laddove il Gattopardo sembra, con la sua zampa in aria, rampante verso la gloria futura, il cane sembrava invece imprecare nel suo volo verso l'immondizia, (oppure cercare un qualunque appiglio per salvarsi).
Il cane è poi da sempre un animale ambivalente, sia simbolo negativo (lo si dice per pessimi attori per esempio), ma anche positivo (simbolo di fedeltà per esempio, migliore amico dell'uomo, ecc.).
Un'altra frase famosa e importante del romanzo è:
"Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra."
Il cane è un animale proprio per razza lontano dalla felinità del Gattopardo, anzi è proprio un animale più vicino allo sciacallo, e come lo sciacallo nel romanzo si muove tra i rifiuti, tra le cose morte.
La potente immagine finale del romanzo scaglia come una maledizione su tutti i felini araldici che capita spesso di vedere non solo su bassorilievi d'epoca, ma anche in loghi aziendali: chi, dopo aver letto il romanzo, non penserà al volo nell'immondizia del cane imbalsamato Bendicò guardandone uno qualsiasi?
Bendicò è portatore di un altro contenuto enorme: Ding Ding, quando c'è da mangiare (vado a spanne) lui si presenta, un piemontese tale e quale!
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