Un fumetto su un topo. Chi vi viene in mente?
E invece Maus di Art Spiegelman parla dell'orrore nazista.
Sembra assurdo che una materia così importante, un orrore così estremo venga trattato con un linguaggio legato più al mondo dell'intrattenimento che a quello della letteratura, della cronaca giornalistica o della trattazione storica.
Eppure alla fine proprio il linguaggio del fumetto si dimostra adatto a sublimare tutto quello che altri linguaggi sarebbero riusciti a trasmettere solo in parte:
la poesia nella rappresentazione di alcuni gesti e alcune parole dei protagonisti,
il riferimento puntuale alla verità dei fatti,
la riflessione sull'evoluzione storica di certi eventi
e anche il dramma psicologico dei testimoni diretti e indiretti.
Tutti i personaggi sono persone reali di una storia realmente accaduta e testimoniata, ma con le fattezze di animali in base all'appartenenza ad un popolo piuttosto che ad un altro.
L'idea nazista di "diverse razze umane" viene grottescamente estremizzata fino a diventare quella di "diverse specie animali".
Gli Ebrei sono rappresentati come topi. Forse perché dai nazisti considerati topi, trattati come topi, ridotti alla condizione di topi, costretti a nascondersi in intercapedini nei muri o in buchi scavati nel terreno, oppure costretti a vivere rinchiusi e in condizioni igieniche precarie.
Di conseguenza i Tedeschi sono rappresentati come gatti.
Come si è visto nella Seconda Guerra Mondiale, ci sono stati popoli "forti" e popoli "deboli", per cui la metafora nella scelta degli animali è adattata anche per gli altri popoli in base anche al ruolo che riuscirono a giocare in guerra, rappresentandoli come animali "forti" o come animali "deboli": Francesi-rane, Americani-cani, Polacchi-maiali, Svedesi-renne, zingara-insetto oltre ai già citati topi e gatti.
(Chissà cosa sarebbero stati gli Italiani... camaleonti?)
La presenza di animali in un contesto dittatoriale richiama alla memoria "La fattoria degli animali" di Orwell, ma i topi sono anche frutto della suggestione che scaturisce nell'immaginario collettivo dal più famoso fumetto in assoluto della Disney, Topolino, nato in America e certamente già diffusissimo a New York negli anni '70-'80, lettura di puro intrattenimento, che riporta all'infanzia, ad un mondo utopico, senza traumi, senza orrori, senza scosse di verità, come invece avviene nell'universo di Maus.
Stupisce l'assenza di qualunque intento didascalico, l'autore stesso nel meta-racconto di cornice, si chiede se ci sia un messaggio nel suo libro, infatti preme più di tutto l'urgenza di riportare una testimonianza forse prolissa, ma assolutamente attendibile e dettagliata, prima che venga irrimediabilmente persa, col rischio che la storia si ripeta, prima di poter elaborare un giudizio o un mondo simbolico coerente ed esteticamente elaborato, tanto da definire il suo stesso padre -ebreo, vittima- "assassino", per aver dato fuoco, in preda alla disperazione, ai diari di sua madre suicida, ma allo stesso tempo ammette che suo padre è talmente spilorcio e avaro da rispecchiare fedelmente lo stereotipo di ebreo diffuso anche dai nazisti.
E allora forse il messaggio è insito nella scelta del linguaggio stesso, il fumetto, un linguaggio insolito per la materia, usato per illuminare di luce diversa quei fatti, o per raggiungere nuovi pubblici e informarli di essi, oppure semplicemente perché Spiegelman conosceva quel linguaggio meglio di altri, voleva sperimentare una nuova strada, per quanto irta di ostacoli, e l'urgenza del racconto lo ha fatto poi apparire sincero come solo i capolavori sanno essere.
L'autore non butta via nulla del racconto, quasi ad incarnare nella scrittura quella tendenza del padre al risparmio di ogni cosa, quasi come se per ogni informazione salvata ci potesse essere una persona che vorrà o dovrà riutilizzarla, fosse anche solo lui stesso, ripensando a ciò che è accaduto, ricostruendo la verità e costruendosi un giudizio nel modo più opportuno e ponderato.
Appare chiaro il dissidio tra l'urgenza della testimonianza e la difficoltà di rapportarsi con un padre sopravvissuto a tale orrore che non è consapevole della propria paranoia esagerata, ma che si avvicina evidentemente alla morte con tutti i suoi problemi di salute.
Resta chiara nelle mente del lettore quest'iconografia del topo, un altro topo dei fumetti, disegnato in modo minimale, fino alla maschera anonima, spesso senza evidenziarne l'espressione della bocca, ma altrettanto spesso anche con gli occhi sbarrati della vittima terrorizzata.
E' l'immagine primordiale che abbiamo del topo, ben lontana da quella consolatoria costruita da Disney, e che riesce perciò a scavare più profondamente nelle nostre paure per metterci in guardia su questa parte della Storia così dolorosa per l'Umanità.
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