Sono grato come spettatore e come cittadino italiano al regista Carlo Mazzacurati, recentemente scomparso, per questa scena in particolare.
Forse "La passione" non è il suo film più riuscito, né quello per cui verrà ricordato, né uno tra quelli più premiati.
Ma nella scena della sacra rappresentazione tocca il sublime per la rappresentazione simbolica -forse un po' involontaria e per questo a maggior ragione sublime- di un momento molto difficile per l'Italia.
L'Italia entrava infatti nel 2010 nelle fasi più buie della crisi economica e la stampa nazionale e internazionale affossava la credibilità della nostra classe politica con scandali legati al ciarpame senza pudore di escort e minorenni in casa di uomini potenti, che facevano apparire gli Italiani un popolo senza speranza, anche agli occhi degli Italiani stessi, un popolo beffardo, ridanciano, volgare, non solo in presenza del "sacro", ma anche davanti alla propria stessa tragedia.
"Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da uno dei milioni d'anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato"
(Pasolini, Gli Italiani)
Nella scena de "La Passione", mentre tutti ridono e sbeffeggiano il "povero Cristo" grasso della sacra rappresentazione per essere caduto dalla sedia rotta dal suo peso, si alza il grido di ribellione di una comparsa, un ragazzo (anche questo è importante...), un ragazzo che non conosciamo, che non è tra i protagonisti del film, è uno qualunque, anonimo, anzi dovrebbe probabilmente interpretare un carnefice di Cristo essendo nella rappresentazione un centurione romano.
Eppure difende Cristo, difende l'iniziativa, difende la passione che c'è dietro, dice "qui ci si mette l'anima" nonostante tutto, nonostante la sfiducia e la derisione dilaganti, anche da parte di chi dovrebbe sostenerti, i tuoi compagni, i tuoi concittadini, i tuoi connazionali.
Quel ragazzo, in modo profondo, partecipa.
La passione del titolo non è quindi solo quella del Cristo nel film, né solo quella che guida il personaggio di Silvio Orlando, ma vorrebbe essere appunto -forse involontariamente- quella di un intero popolo fuori dallo schermo cinematografico.
E chissà se -fuori dallo schermo- quell'italiano un giorno troverà il coraggio e la forza per urlare veramente la sua indignazione, ne avremmo ancora bisogno.
Intanto grazie Carlo. E speriamo di imparare presto.
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