domenica 18 settembre 2011

Pompei si tinse di giallo

Affresco di Pompei
Era un giallo. E stavolta non c'entra l'incuria di amministrazioni odierne. Il rosso tipico più famoso del mondo era in realtà abbastanza spesso un giallo ocra poi modificato dal calore dei gas eruttati dal Vesuvio.

Menandro impegnato nella letturaLo ha spiegato Sergio Omarini, ricercatore presso l’Istituto nazionale di ottica (Ino-Cnr) di Firenze, nella VII Conferenza Nazionale del Colore svoltasi il 15 e 16 settembre alla Facoltà di Ingegneria dell'Università La Sapienza di Roma, illustrando i risultati delle analisi effettuate dal suo staff con strumenti non invasivi: lo spettrofotocolorimetro, che misura il colore, e la fluorescenza X, che consente di identificare tutte le componenti chimiche dei pigmenti di colore utilizzati negli affreschi.

«Abbiamo potuto accertare che il colore simbolo dei siti archeologici campani in realtà è frutto dell’azione dei gas ad alta temperatura, la cui fuoriuscita precedette l’eruzione vesuviana del 79 dopo Cristo. Il fenomeno di questa mutazione cromatica era già noto agli esperti, ma lo studio realizzato dall'Ino-Cnr e promosso dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei ha finalmente permesso di quantificarne la portata, almeno ad Ercolano».

Nello specifico, quel rosso all'epoca esisteva ed era utilizzato, viene chiamato Sinopsis da Plinio, era un ocra rossa ottenuta da ossido di ferro, inizialmente preparata da scarti della lavorazione di composti di mercurio (cinabro) e piombo (minio), ma questi materiali erano molto costosi e difficili da reperire.

cinabrominio

«Le pareti attualmente percepite come rosse - continua Omarini - sono 246 e le gialle 57, ma stando ai risultati, in origine dovevano essere rispettivamente 165 e 138 per un’area di sicura trasformazione di oltre 150 metri quadrati di parete. Questa scoperta permette di reimpostare gli aspetti originari della città in modo completamente diverso da quello conosciuto, dove prevale il rosso chiamato appunto "pompeiano"».

Insomma, numeri alla mano, circa una parete rossa su tre era in realtà gialla. Con queste "nuove" pareti gialle, andatesi ad aggiungere alle pareti rimaste comunque di quel colore originario, a Pompei ed Ercolano pareti gialle e rosse diventano quasi pari. 138 a 165.

Veniamo ora all'altro metodo per ottenere quel mitico rosso: riscaldare l'ocra gialla, facile da trovare e più economica. E questo hanno fatto i gas del Vesuvio. Gli strumenti del Cnr in molti "rossi presunti" non hanno trovato infatti tracce di minio e cinabro (i minerali necessari per il metodo più costoso).

«Proprio quest’ultimo effetto descritto anticamente da Plinio e Vitruvio - conclude Omarini - si può percepire anche a occhio nudo nelle fenditure che solcano le pareti rosse di Ercolano e Pompei».

Se il colore nelle fenditure è diverso da quello della parete, si può quindi dedurre che il colore originario della parete stessa è stato modificato dai gas e non era voluto dall'uomo.

Insomma andrà un po' rivisto e aggiornato l'immaginario cromatico collettivo delle due città-museo campane, che senza perdere il rosso, hanno guadagnato un misterioso "giallo pompeiano".

Ercolano, Casa del rilievo di Telefo. L’ocra gialla dell’affresco ha virato in ocra rossa nelle zone di contatto col flusso di calore, durante l’eruzione (Immagine dell'Università di Bologna)

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