sabato 3 maggio 2014

Il pianto trattenuto di un uomo

Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!".
E da quel momento il discepolo l'accolse in casa sua.
(GV, 19, 27)

Davanti al Compianto sul Cristo morto (1463-1490) di Niccolò dell'Arca, nella Chiesa di Santa Maria della Vita a Bologna, si può avere come la sensazione di precipitare.


Tutti i personaggi, tranne il cadavere di Cristo e il Nicodemo a sinistra con il martello in mano, sono rappresentati in un atteggiamento di movimento umanissimo e profondamente tragico; osservando per esempio la posizione della mani, si nota che le donne le dispongono tutte in posizioni diversissime e dinamiche, e sembra che stiano per accasciarsi su quel cadavere immobile: chi si tira su la veste un attimo prima di cadere in ginocchio, chi ha le mani giunte in una specie di ormai tardiva preghiera di pietà, chi pone le mani davanti agli occhi per non vedere, chi lascia le mani indietro mentre il corpo precipita in avanti per il dolore, seguito dalle vesti.

Solo l'altro uomo della scena, Giovanni, posto al centro dietro il cadavere, ma quasi in disparte, ha la mano sotto il mento in un atteggiamento che è solo apparentemente più equilibrato e più lucidamente riflessivo di quello degli altri, ma a giudicare dai particolari è invece anch'esso molto drammatico: il suo corpo è rivolto verso destra, in direzione diversa rispetto al Cristo, rivolto altrove quindi, come in attesa, con la mano a sostenere la testa apparentemente, ma in realtà anche a lui quella mano sembra voler impedire di vedere, sembra volergli distogliere quella testa rivolta ostinatamente verso il defunto amico, e anche gli occhi sono rivolti nella direzione opposta al suo stesso corpo, come se avesse una personalità completamente scissa a causa del dolore: la mano e il corpo vorrebbe risparmiargli la vista di tanto orrore, ma la testa  e gli occhi oppongono resistenza e non possono fare a meno di guardare in faccia la verità: il suo amico è morto, ed è stato barbaramente trucidato, e lo è stato per motivazioni ingiuste.

La cosa più commovente sono forse le sopracciglia aggrottate. Mentre le altre figure urlano apertamente, in Giovanni l'urlo è strozzato in quelle sopracciglia contratte: anch'esse oppongono resistenza, come se la rabbia volesse trattenere, mascherare il pianto, un pianto che si tenta di frenare per la necessità imprescindibile di mostrarsi forte e saldo di fronte a tante donne affrante, di non scomporsi e precipitare a propria volta nella disperazione, nonostante egli sia a propria volta affranto, perché egli è consapevole che un'attimo dopo avrà proprio lui il duro compito risollevarle, come gli è stato impartito dal suo maestro stesso sulla croce. Se anche lui cedesse sarebbe la fine.

Nel Compianto di Niccolò dell'Arca (un unicum per la sua dinamicità proto-barocca, prima che fosse sbocciato completamente lo stesso Rinascimento), di questo Giovanni colpisce il suo starsene fermo rispetto agli altri, e un po' in disparte appunto, poiché in genere, in altri compianti, proprio lui è uno dei protagonisti della scena insieme alla Madonna e alla Maddalena (pensiamo a Giotto). Forse qui il suo dramma e il suo dissidio tutto interiore riesce ad emergere con tutta la sua forza proprio dal realismo di quei particolari che rendono il suo "trattenersi" rispetto agli altri personaggi. In questa tragedia egli deve sostenere una parte molto difficile, quella di una figura maschile. Ma non riesce ad impedirsi di apparire una figura in prima istanza profondamente umana.


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