lunedì 12 maggio 2014

Le montagne, i ruderi e l'infinito

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
(L'infinito, G. Leopardi)

Aosta è una città romantica. E' romantica proprio nel senso estetico-filosofico del termine.

Essa ha sia tutt'intorno le montagne e una natura pressoché incontaminata visibile anche dal centro della città, sia una quantità di ruderi, prevalentemente dell'antica Roma, di grandissima suggestione.


La cosa più caratteristica di Aosta è forse proprio la concomitanza di questi due elementi tipicamente romantici, la montagna e il rudere, ossia la possibilità di vedere proprio una montagna, invece di più abituali e dolci paesaggi collinari o mediterranei, dietro un arco di trionfo o addirittura attraverso i finestroni del rudere dell'anfiteatro romano.

L'infinito della Natura (ermo colle o siepe) e del Tempo (le morte stagioni dell'Impero romano) qui si fondono indissolubilmente in un'unione che ne amplifica il senso di romanticismo.

A chi visita Aosta possono venire in mente sia le montagne in lontananza de "Il viandante sul mare di nebbia" di Friedrich, sia uno qualunque dei capricci con ruderi dipinti già dal Settecento.

L'arco di Augusto -rudere politico-, il criptoportico -rudere religioso-, l'anfiteatro -rudere dell'arte-, la porta romana, tutti comunque ruderi dell'arte architettonica, sono tutti resti di costruzioni umane che non sono sopravvissute al tempo, alla natura, all'intervento di altri esseri umani. Sono lì tutti a rappresentare la caducità di ogni opera umana, malgrado la sua importanza, la sua sacralità, la sua bellezza.

Un messaggio che sembravano aver capito bene gli scultori romanici (senza T) che realizzarono, a pochi metri da tutto questo, i capitelli del chiostro della Collegiata di Sant'Orso (sec. XII), meravigliosi poiché tutti volutamente diversi, giacché la perfezione e la simmetria appartengono solo a Dio (la Natura? l'Eternità?), non certo alle opere umane.

Questa consapevolezza consente alla vocazione teatrale della Cristianità medievale di dare sfogo alla fantasia degli scultori su questi capitelli istoriati.
Fa sorridere e commuovere la diversità delle soluzioni tecniche adottate dagli scultori per poter letteralmente "aggirare" la colonna, utilizzata a volte come un piccolo palcoscenico intorno al quale chi guarda deve per forza  girare per vedere come va a finire la rappresentazione.

Tra le varie storie rappresentate dall'Antico o dal Nuovo Testamento, nonché tra i vari sembianti di santi, c'è anche un motivo pagano, poco consono all'ambiente cristiano non solo per il differente universo religioso che richiama, ma anche proprio per il contenuto: la storia de "La volpe e la cicogna" tratta da una favola di Esopo (620 a.C. circa – 560 a.C. circa):

La volpe e la cicogna erano buone amiche. Un tempo si vedevano spesso, e un giorno la volpe invitò a pranzo la cicogna; per farle uno scherzo, le servì della minestra in una scodella poco profonda: la volpe leccava facilmente, ma la cicogna riusciva soltanto a bagnare la punta del lungo becco e dopo pranzo era più affamata di prima.
- Mi dispiace - disse la volpe - La minestra non è di tuo gradimento?
- Oh, non ti preoccupare: spero anzi che vorrai restituirmi la visita e che verrai presto a pranzo da me - rispose la cicogna.
Così fu stabilito il giorno in cui la volpe sarebbe andata a trovare la cicogna.
Sedettero a tavola, mai i cibi erano preparati in vasi dal collo lungo e stretto nei quali la volpe non riusciva ad infilare il muso: tutto ciò che poté fare fu leccare l'esterno del vaso, mentre la cicogna tuffava il becco nel brodo e ne tirava fuori saporitissime rane.
- Non ti piace, cara, ciò che ho preparato?
Fu così che la volpe burlona fu a sua volta presa in giro dalla cicogna.



Un motivo quello di questa favola poco consono alla Cristianità poiché trasmette un messaggio di legittimità della vendetta taglionica (occhio per occhio) più che di perdono cristiano (porgi l'altra guancia), ma proprio per questo il capitello è più affascinante, sembra quasi che lo scultore sia sfuggito ad una eventuale censura dell'ambiente religioso (o ne sia stato dispensato per la bellezza del risultato).

Un'altro luogo pieno di suggestioni romantiche è certamente il criptoportico romano.
Esso era un luogo sacro costruito intorno a due templi andati perduti, e appare ancora oggi uno spazio mistico, metafisico (in assenza di turisti turbolenti…), a momenti, percorrendolo fino in fondo, si può facilmente immaginare che le sue arcate possano continuare anch'esse all'infinito, sia davanti a noi che alle nostre spalle.

Le luci dal basso riescono a far immaginare una illuminazione non artificiale, magari le candele di un altro tempo, e non solo esaltano la grandiosità del luogo, ma ne fanno anche comprendere l'intelligenza architettonica.

C'è infine un ponte senza fiume.
Il Ponte romano appare così, poiché si trova al di là del Buthier, torrente affluente della Dora Baltea, che oggi, a seguito di una inondazione, passa non più sotto il ponte, ma appena più vicino alla città, lasciando il ponte "orfano" qualche metro più in là.

Anch'esso ci suggerisce la piccolezza dell'uomo (sia esso un romano antico, o un uomo moderno) di fronte alla grandezza degli sconvolgimenti naturali, un po' come per le varie "Abbazie nel querceto" dipinte sempre da Friedrich.


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