lunedì 6 aprile 2015

Ferraglia e nitriti

Robert Bresson sosteneva che il cinema sonoro in realtà avesse inventato il silenzio. Questo ci dice tantissimo del suo cinema, che quindi va "guardato" (anche) con le orecchie.

Non fa eccezione Lancillotto e Ginevra che proprio attraverso i suoni riesce a contraddire i dialoghi dei personaggi più di quanto non facciano da sole le immagini.


Alla fine del film, indipendentemente dall'impressione che se ne può avere, resta nelle orecchie lo sferragliare continuo di spade e armature. Questa insistenza su quel suono diventa significato in quanto fa apparire quei cavalieri ridicoli nelle loro ostinazioni ideali, nella loro impossibilità di essere liberi da forze più grandi di loro, contro cui non possono niente, siano esse l'amore, l'orgoglio, un ordine del re, la presunta volontà divina, come dei burattini pilotati da qualcuno, impotenti, inconsapevoli, ...

(Quanta dignità hanno piuttosto i burattini di Pasolini in Capriccio all'italiana, che dopo avere rappresentato anche loro un tradimento, quello presunto di Desdemona verso Otello, pur nella sventura di ritrovarsi tra i rifiuti, ancora si stupiscono del creato guardando le nuvole…)


…vittime dei loro istinti, violenti o meno, come degli animali, capaci solo di interrogarsi sulle leggi morali, senza guardare al cielo stellato, o alle nuvole, o alla realtà, e anche morendo Lancillotto con lo sguardo al cielo dirà come sua ultima parola "Ginevra".

Altri suoni del film sono proprio i versi degli animali, i cavalli nitriscono continuamente, anche se non inquadrati, oppure anche se vengono inquadrate solo le loro zampe; oppure il verso di un uccello che ricorre soprattutto in due dialoghi tra Lancillotto e Ginevra.

Suoni che si ripetono e movimenti che si ripetono. Come i movimenti sempre uguali del salire a cavallo, dell'abbassarsi la visiera, degli scontri al torneo, esercizio privo di senso come tutto quello che ruota intorno al mondo della cavalleria fallita a seguito del fallimento della ricerca del Graal.

In assenza di nuovi motivi di scontro, la finestra di Ginevra oppure il torneo, diventano un nuovo Graal su cui proiettare i propri desideri di dominazione.

I dialoghi nonostante tutto continuano a parlare di cose ideali, valori, orgoglio, onore, ma appunto quel continuo sferragliare di armature e nitrire di cavalli riporta tutto al mondo terreno, all'animalesco, al brutale, facendo apparire tutto per quello che poi effettivamente è.

***

Bresson intuisce inoltre più di altri registi che il cinema è fatto principalmente di immagini in movimento, o immagini di movimento, per cui più che l'azione, inquadra il movimento in sè, anche nel suo ripetersi, sottolineando maggiormente l'insensatezza di certe azioni, si vede per esempio spesso il busto e le zampe dei cavalli su cui sono seduti i cavalieri, piuttosto che  il viso dei cavalieri stessi, perché essenziale è l'andare insensato e ripetitivo dei cavalieri, non la narrazione di qualcuno che va da qualche parte effettivamente.

(Non mi pare sacrilego ricordare il gustoso sketch di Corrado Guzzanti sull'insensatezza dei cavalieri)



Durante il torneo si giunge ad un livello tale di parossismo che il film sembra un disco rotto, con la bandiera che si alza, la musichetta medievale, i cavalli che corrono, lo scontro, un nuovo uomo a terra, la parola "Lancillotto" detta da Gauvain, che si ripetono un'infinità di volte.


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